Recensione film Chicken Little - Amici per le Penne


Il piccolo pollo, l'antieroe protagonista del cartoon Disney di Natale Chicken Little - amici per le penne (in uscita in Italia il 2 dicembre), primo film dell'Impero del Topo girato integralmente in computer grafica 3D (i capolavori della Pixar, infatti, da Toy Story agli Incredibili, erano distribuiti e coprodotti dalla Disney, ma realizzati dalla società di Steve Jobs e John Lasseter), cinque anni fa era una gallinella. A raccontarlo è Mark Dindal, soggettista e regista del cartoon basato su una favola del Settecento inglese, che abbiamo incontrato nel parco Disney vicino a Parigi, in occasione della prima europea del film (che in America, dopo sole tre settimane di programmazione, ha già raggiunto i 100 milioni di dollari d'incasso). «Inizialmente, Chicken Little doveva essere un personaggio maschile un po' più vecchio», racconta Dindal, «poi gli abbiamo cambiato sesso ed età, facendolo diventare una gallinella adolescente e solo alla fine è nato il ”polletto” che tutti conoscete. Per un antieroe, che deve mostrare tutte le insicurezze dell'adolescenza, un personaggio femminile non avrebbe potuto funzionare - conclude il regista - sono i maschi di quell'età ad essere ancora sgraziati e gracili, mentre le donne maturano prima». Ma di cosa parla il film? L'inizio è folgorante: una voce fuori campo si domanda come introdurre la vicenda e così, in rapida successione, è messo in scena ogni topos narrativo del cartooning classico (dal «C'era una volta...» al libro animato), prima di addentrarci nella cittadina di Quercia Ghiandosa, dove Chicken Little vive con suo padre Buck Cluck, circondato da uno zoo eterogeneo che comprende anatre, maiali e persino pesci, che fanno parte di un programma di scambio culturale col fondo dell'oceano. Proprio quell'inizio, racconta il regista, è stato uno dei suoi incubi peggiori: «Avevamo già fatto ben 14 proiezioni di prova del film durante la lavorazione - confessa Dindal - perché volevamo trovare il giusto equilibrio narrativo, fino a quando i ragazzini che convocavamo alle proiezioni non stessero buoni, totalmente assorbiti dalla storia, ma continuava a mancarci l'idea con cui cominciare. Solo un anno fa siamo riusciti a trovare la chiave giusta, una gag nello stile dei cartoon surreali di una volta, dai primi cortometraggi di Pippo ai film di geni come Tex Avery e Chuck Jones, capaci di giocare con la sintassi stessa del racconto». Sì, perché Mark Dindal s'inserisce in modo anomalo nella tradizione Disney. Il suo debutto registico, dopo aver lavorato per l'Impero del Topo fin dal 1980 come animatore di effetti, risale al 1997 quando, passato alla Warner, dirige il bizzarro musical «Cat's Don't Dance». Tornato alla casa madre, firma «Le follie dell'Imperatore», che dimostra la sua attrazione per le trasgressioni sintattiche tipiche di un grande innovatore del passato come Tex Avery, l'anti-Disney per eccellenza. Oggi Dindal, con un film zeppo di citazioni - si va dalla Guerra dei mondi a Gremlins, da E.T. a un surreale King Kong riproposto da Pesce Fuor d'Acqua - è coinvolto in un'impresa doppiamente gravosa: da una parte è stato promosso a pioniere Disney della computer grafica 3D e dall'altra, non essendosi risolti gli screzi contrattuali tra Disney e Pixar (casa di produzione che meglio di ogni altra interpreta la poesia animata attraverso il 3D), è caricato della responsabilità di far dimenticare Nemo e gli Incredibili, nella malaugurata ipotesi che la Disney perdesse definitivamente i diritti di distribuzione dei film della società di John Lasseter e Steve Jobs. Finora il botteghino americano ha fornito delle risposte rassicuranti al suo tenero polletto. - Fonte Il Mattino -

Recensioni film




Continua a leggere tutte le recensioni sul sito recensione.info

Recensione & Recensioni


Recensioni film, Recensioni dvd, Recensioni giochi, Recensioni ristoranti, Recensione libro, Recensioni escort



Oppure visita il sito d'informazione con tutte le ultime notizie di cronaca dell'ultima ora di oggi
Ultime Notizie